I Giochi Olimpici di Tokyo 2020 si sono appena conclusi con un anno di ritardo causato della pandemia da COVID-19 che ci ha purtroppo colpito tutti.
Per gli atleti è stato un anno di allenamenti difficili, di gare annullate e per tutti anche di grande solitudine; sono state Olimpiadi diverse, svolte senza spettatori a porte chiuse ma decisamente molto più umane.
È mancato il tifo di migliaia di persone sugli spalti ma i social ci hanno permesso di scoprire i retroscena degli atleti come mai prima d’ora e forse proprio questa pandemia ci ha fatto sentire ancora più vicini a loro.
Personalmente, sono stati dei Giochi che ho seguito tanto malgrado qualche alzataccia.
Come italiana, è stata una gioia pura e assoluta guardare i nostri atleti conquistare ben 40 medaglie, record mai raggiunto prima.
Come Coach, ho avuto la possibilità di conoscere gli atleti sotto una nuova prospettiva, al di là della prestazione fisica: ci è stata data la possibilità di vedere la loro parte umana.
Queste Olimpiadi hanno fatto risaltare oltre alle prove fisiche anche quelle mentali e sono state un grande esempio di inclusività ed eterogeneità.
Olimpiadi nelle quali gli atleti hanno raccontato le loro storie e più volte hanno citato la parola “cuore”; nelle loro parole si sono liberate emozioni che abbiamo sentito da ogni parte del mondo; ci hanno fatto sentire, anche solo per un attimo, molto più simili a loro di quanto osassimo mai sperare.
Le loro storie potrebbero essere le nostre: storie di amore, di passioni, di rinunce, di fallimenti, di lacrime e di gioia, di sacrifici e determinazione.
Alcune mi hanno colpito più di altre e le condivido con voi.
Simone Biles, atleta americana di ginnastica artistica che ha avuto un crollo emotivo proprio all’inizio delle competizioni. Ha rinunciato a molte gare e si è aggiudicata un’unica e preziosa medaglia d’argento che vale ben più dell’oro. La sua squadra l’ha appoggiata nelle sue scelte e non si è tirata indietro per poter veicolare un importante messaggio sulla salute mentale: esistono dei momenti nella vita nei quali si è in uno stato di disequilibrio; non basta avere un corpo performante se manca la parte mentale su cui appoggiarlo.
Tom Daley, tuffatore britannico, medaglia d’oro a Tokyo e anche grande amante dei lavori a maglia. È stato inaspettato vederlo lavorare a maglia tra un tuffo e l’altro per rilassarsi. Una passione nata durante il lockdown quella per i ferri che gli permette di fare anche beneficienza.
Un chiaro segno che la diversità vince sempre e un grande esempio per tutti noi.
Gianmarco Tamberi, italiano, medaglia d’oro con il salto in alto condivisa di comune accordo con il suo amico e rivale Mutaz Essa Barshim, qatariota. Alle Olimpiadi è successo anche questo: due atleti che decidono di fermarsi durante la gara e salgono insieme sul podio olimpico: c’è molto di più della medaglia d’oro, c’è il percorso per arrivarci. Tamberi era stato gravemente infortunato poco prima delle Olimpiadi di Rio e non aveva potuto prendere parte a quei Giochi; a Tokyo ha portato con sé il suo vecchio gesso con la scritta che aveva fatto nel 2016 “Road to Tokyo 2020”, simbolo della sua forza d’animo e rivincita su sé stesso.
Marcell Jacobs, italiano, medaglia d’oro nei 100 metri, l’uomo più veloce del mondo. Ha raccontato di avere avuto diverse difficoltà e di averle superate grazie ad un Mental Coach.
Si vince anche grazie alla preparazione mentale.
Vanessa Ferrari, italiana, argento al corpo libero individuale di ginnastica artistica, che ha vinto una medaglia dopo svariati infortuni e che ha dichiarato “se un ginnasta non ha male da qualche parte significa che non si è allenato bene.” Dopo aver letto questa frase sono certa che tutti noi guarderemo quel volteggiare e saltare sulla pedana in maniera diversa.
Federica Pellegrini, italiana, 20 anni di nuoto, quinta finale olimpionica, ha detto che durante la sua finale dei 200 stile libero sorrideva mentre nuotava: ci ha tenuto con il fiato sospeso fino all’ultimo per poi dichiarare con grande serenità che chiudeva un periodo della sua vita per aprirne un altro.
Infine, nell’ultimo giorno dei Giochi è anche arrivata l’ultima medaglia italiana, la numero 40 con le nostre farfalle della ginnastica ritmica: Martina Centofanti, Agnese Duranti, Alessia Maurelli, Daniela Mogurean, Martina Santandrea.
A loro sono molto affezionata perché mia figlia ha fatto ritmica per qualche anno e conosco il numero di ore dedicate a provare e riprovare anche solamente un lancio.
Sono ragazze che si allenano 8 ore al giorno quasi 365 giorni l’anno e che vivono lontane da casa.
La prima intervista che hanno rilasciato è dedicata a ringraziare tutte le persone che ruotano intorno a loro e ci ha fatto intravedere il mondo di gente che aiuta e sostiene dietro ad ogni medaglia: gli allenatori, i medici sportivi, gli amici, la famiglia e anche il pubblico.
Ci sarebbero ancora tante altre storie da ascoltare e condividere di grandi atleti ma anche di persone comuni. Sono tanti percorsi, unici ed irripetibili come le vite di ognuno di noi.
Vale sempre la pena ascoltare gli altri perché ci da modo riflettere anche su di noi.
E poi diciamocelo una volta per tutte: siamo tutti nella stessa barca, atleti e non, e a volte ci capita di correre i nostri 100 metri personali.
Sapere che qualcuno ce la fa ci motiva ad andare avanti. Sempre.
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